venerdì 5 ottobre 2012

Gocce storiche sul socialismo europeo: gli esordi liberalsocialisti in Gran Bretagna. (1)


Quanto segue è parte di una serie di articoli nella quale cercheremo di tracciare una brevissima e – ahimè – incompleta storia del socialismo europeo, con particolare attenzione all’evoluzione della teoria socialdemocratica e liberalsocialista.

Il primo paradigma dell’incontro tra liberalismo e socialismo, la cui più evidente immagine è l’avvicinamento tra libero mercato e presenza attiva dello Stato – quanto Pellicani definisce «il compromesso socialdemocratico» – è senza dubbio la Gran Bretagna. Già nell’Ottocento, alcuni pensatori e politici pienamente inseriti nel contesto del liberalismo classico, ma non nel senso dell’old whig citato da Von Hayek, cominciarono a intravedere la necessità di considerare in modo più diretto le problematiche sociali e del lavoro. I riferimenti, in questo caso, sono alle opere di Mill, alle soluzioni razionali dello Stato di Hobhouse, all’imprescindibile legame tra emancipazione collettiva e libertà individuale di Hill Green, alle elaborazioni di Wells, Webb e Shaw. A riguardo, la Società Fabiana (1884), sebbene con i propri evidenti limiti, ebbe il merito di proporre la necessità di sottrarre la terra e il capitale «dalla proprietà individuale o di classe […] trasfer[endoli] alla comunità nell’interesse generale», pur rifiutando le teorie marxiste della rivoluzione violenta e della fine fatalistica del capitalismo.

Il simbolo della Fabian Society.
(Fonte: Wikimedia Commons)

Nel clima del liberalismo progressista britannico della seconda metà dell’Ottocento, quindi, si cominciarono a ritenere del tutto conciliabili l’insindacabile diritto alla libera iniziativa e le istanze delle masse, purché gli eccessi in entrambi i sensi fossero temperati dalla sicurezza che il mutamento del sistema avvenisse con le garanzie dello Stato costituzionale. Scriveva Webb nel 1889: «Tutti gli studenti della società che sono al passo coi tempi, quindi ugualmente socialisti e individualisti, sono coscienti che importanti cambiamenti organici possano essere solo: 1) democratici, pertanto accettabili dalla maggioranza del popolo e comprensibili da tutti; 2) graduali, affinché, per quanto possa essere rapido il ritmo del progresso, essi non creino sconvolgimenti; 3) non ritenuti immorali dalla massa, cioè non soggettivamente demoralizzanti; 4) almeno nel nostro Paese, costituzionali e pacifici».

In poche parole, il socialismo poteva senza complessità divenire la naturale prosecuzione del liberalismo, ossia ciò che in Italia sostennero Salvemini, Rosselli, Gobetti, Calogero e altri. Quanto ai socialisti riformisti, soprattutto Turati, Mondolfo,Treves e Matteotti, essi condussero con forza la scelta riformista e democratica, ma non ritennero direttamente che il liberalismo potesse unirsi in un unico cammino con il socialismo.

Beniamino Franceschini

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